Nel 1954 nasce la Cementir in area adiacente allo stabilimento Ilva con l’obiettivo di utilizzare come materia prima per la produzione del cemento un sottoprodotto delle lavorazioni siderurgiche: la loppa di altoforno

L’attività produttiva della Cementir, attualmente inattiva, si è sviluppata nell’area di Bagnoli,su una superficie di 63.000 mq. di cui circa 24.000 coperti e, in considerazione delle lavorazioni altamente nocive effettuate negli anni, con decreto legge n.274 del 1996 sono state disposte misure urgenti per il risanamento dei siti industriali dismessi nell’area di Bagnoli.

L’art.1 di detto decreto prevede il risanamento dei sedimi industriali interessati di società (Ilva, Cementir, Eternit, Federcosorzi) , sulla base del progetto denominato “Piano di recupero ambientale – Progetto delle operazioni tecniche di bonifica dei siti industriali dismessi.

Il ciclo produttivo del cemento all’interno dello stabilimento Cementir di Bagnoli può essere sommariamente sintetizzato nelle seguenti fasi:

 

-le materie prime (rocce calcaree e argilla) estratte da giacimenti naturali o costituite da loppe d’altoforno (come nel caso dello stabilimento di Napoli almeno fino al 1989), opportunamente dosate ed addizionate ad altri elementi, subivano un processo di macinazione dal quale si otteneva la “farina cruda”;

-mediante la cottura della “farina cruda”, che avveniva in appositi forni alimentati prevalentemente da combustibili fossili in cui si raggiungevano temperature fino a 1400-1500 °C, si produceva il Clinker, componente principale del cemento;

– il Clinker, una volta raffreddato, subiva un processo di macinazione e miscelazione con gesso ed altri additivi (es. loppe, ceneri volanti, calcari), diversi in funzione delle varie tipologie di cemento;

-il prodotto finale veniva stoccato ed eventualmente imballato in sacchi per poi essere trasportato al sito di destinazione.

 

Per ognuna della fasi descritte, era previsto l’impiego di diverse figure professionali operanti per l’esercizio e la manutenzione sia delle macchine direttamente utilizzate nel ciclo produttivo che di quelle a supporto dello stesso.

 

Com’è ormai ben noto dalla letteratura scientifica siffatti cicli produttivi erano caratterizzati da un massiccio impiego di materiali contenenti amianto (MCA) che, anche se non impiegati come materie prime del processo tecnologico (come invece avveniva per la produzione dei manufatti in cemento-amianto), rientravano in tale processo come materiali di supporto indispensabili al ciclo di lavorazione.

 

La sentenza della Corte d’Appello di Roma condanna la Cementir a risarcire gli eredi di un lavoratore della Cementir, che aveva contratto un mesotelioma pleurico a causa dell’inalazione di fibre di asbesto sentenza Corte d’Appello di Roma Mesotelioma Pleurico CEMENTIR

 

Il tumore alla faringe, comunemente chiamato anche semplicemente cancro della gola, è una neoplasia che ha tra le sue possibili cause: il tabacco, l’abuso di alcol, una dieta povera di frutta e verdura, infezioni da HPV. Inoltre tra le cause del cancro alla gola, rilevante è l’esposizione alle fibre di amianto e ad altri agenti cancerogeni.

La IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha confermato nella Monografia 100/c del 2012 che tra gli agenti eziologici del cancro alla faringe vi è l’amianto.

Infatti la stessa Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) include anche questa patologia tra le malattie asbesto correlate.

There is sufficient evidence in humans for the carcinogenicity of all forms of asbestos […]. Asbestos causes mesothelioma and cancer of the lung, larynx and ovary. Also positive associations have been observed between exposure to all forms of asbestos and cancer of the pharynx, stomach, and colorectum

(Volume 100C – IARC Monographs)

L’esposizione a sostanze cancerogene, come appunto l’amianto, può avvenire spesso per motivi professionali, ad esempio negli stabilimenti industriali.

Infatti, purtroppo, in passato, l’asbesto è stato diffusamente utilizzato per via delle sue caratteristiche tecniche. Venne principalmente usato per le coperture in Eternit e l’isolamento dei tetti, per costruire navi e treni, nell’edilizia (vernici, pavimenti, tegole) e nelle automobili.

Le polveri e fibre d’amianto sono altamente cancerogene e possono, quindi, provocare a livello del distretto faringeo una serie di patologie tumorali che coinvolgono le varie componenti della cavità faringea, tra cui il tumore alla lingua, cancro alle tonsille.

Il cancro alla gola nei lavoratori esposti ad asbesto, in seguito all’aggiornamento effettuato nel 2012 dalla IARC che ha riconosciuto l’asbesto come cancerogeno di Gruppo 2A (Cancerogeno Probabile) va quindi riconosciuto come malattia professionale e indennizzato con una rendita INAIL

Sentenza Tumore dell’orofaringe ed esposizione ad amianto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26514 dell’11 ottobre 2024, ha sancito un principio fondamentale in merito ai diritti dei lavoratori che assistono familiari disabili, chiarendo che “il datore di lavoro non può stabilire in modo unilaterale le giornate in cui il lavoratore deve usufruire dei permessi previsti dalla legge 104 del 1992.                    Cassazione sentenza 26514 del 2024

A un lavoratore dell’Italsider con le mansioni di riparatore meccanico, in  data 25/5/2018, a seguito di TAC del Torace, veniva diagnosticato un “un diffuso ispessimento dell’interstizio peribroncovascolare con evidenza di bolla di enfisema. La TC del 25.6.2019 evidenziava “un ispessimento parenchimale di aspetto simil-nodulare. incremento della trama interstiziale.

Si sottoponeva in data 28/10/2019 ad un intervento chirurgico di resezione atipica Vas, successivamente, in data 15/3/2021 ad intervento in lobectomia superiore destra con diagnosi di adenocarcinoma polmonare infiltrante scarsamente differenziato (G3).

Il doloroso itinerario (che si provava documentalmente) gli provocava un malessere profondo caratterizzato da sensazioni di abbandono, disperazione, inappagamento dei bisogni primari, per cui lo stesso cominciava a prendere in considerazione l’idea di porre fine alla propria esistenza. Difatti, in data 13/5/2022, decedeva a seguito di caduta volontaria dal secondo piano della sua abitazione.

Nell’ultimo anno di conclamata malattia il lavoratore, oltre a dolori lancinanti durante la respirazione, presentava coaguli di sangue, difficoltà del linguaggio, difficoltà respiratorie, fiato corto, inappetenza , perdita di peso non voluta e raucedine. Praticava diversi cicli di Chemioterapia e Terapia per DOLORE CRONICO in ultimo solo terapia ANTALGICA.

L’avv. Gentile provava che il lavoratore trascorreva a letto più del 50% del suo tempo ed era completamente consapevole della sua situazione di malattia e della sua prognosi infausta: Consapevolezza di malattia completa. Coscienza della terminalità completa”.

Sulla scorta di tanto si sosteneva che le conseguenze dovute all’insorgenza della patologia nefasta, sicuramente di natura professionale e causata dalla violazione di norme di sicurezza della datrice di lavoro, la conoscenza della prognosi quoad vitam e quoad valetudinem che lasciavano inerte il soggetto sotto il profilo delle sofferenze e dell’immancabile ripercussione su ogni idea di sua proiezione futura, cui è votata l’esistenza di ogni individuo, avevano sicuramente contribuito, come movente ultimo, al compimento del gesto estremo posto in essere dal lavoratore.

Si sosteneva che, nel caso di specie, sussisteva un valido nesso causale, ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., tra la condotta del terzo e l’azione suicidaria.

Ed invero, secondo l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, il danno morale per perdita di una persona cara può spettare ai congiunti della vittima non solo quanto questa perda la vita direttamente in conseguenza dell’altrui atto illecito, ma anche quando perda la vita in conseguenza di atti autolesivi, a condizione che il suicidio trovi il proprio antecedente causale nel fatto illecito del terzo. Tale nesso, infatti, non necessariamente è escluso dalla volontarietà del suicidio. Quest’ultimo infatti non è un fatto idoneo ad interrompere il nesso di causalità tutte le volte che l’illecito ha determinato nel soggetto leso dei gravi processi di infermità psichica, concretizzati in psicosi depressive o altre forme di alterazione dell’umore e del sistema nervoso e di autocontrollo (Cass. sez. lav. 2037/2000; Cass. n.969/1996; Trib. Alessandria 9/10/1998).

Si riportava uno studio su rischio di suicidio e cancro (https://www. fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/spezzare-i-tabu-parliamo-del-dolore-dei-malati-di-tumore-e-di-suicidio) della Fondazione Umberto Veronesi ove si afferma :

 come emerso da una recente ricerca pubblicata online su Nature Medicine a fine marzo, nonostante i progressi nella cura del cancro degli ultimi decenni, i pazienti oncologici hanno un rischio più elevato di suicidio rispetto alla popolazione generale. Lo studio, condotto da Michael Heinrich e colleghi dell’Università di Ratisbona, ha messo insieme articoli rilevanti sull’argomento pubblicati su database scientifici come EMBASE, MEDLINE, PsycINFO, Web of Science, CINAHL e Google Scholar fino a febbraio 2021. È stata eseguita una revisione sistematica che includeva 62 studi e 46.952.813 pazienti. Per evitare la sovrapposizione del campione di pazienti, la meta-analisi è stata eseguita su 28 studi, che hanno coinvolto in totale 22.407.690 pazienti malati di tumore. Da ciò è emerso che la mortalità per suicidio era significativamente aumentata rispetto alla popolazione generale. Il rischio era fortemente correlato alla prognosi del cancro, allo stadio del tumore, al tempo trascorso dalla diagnosi e alla regione geografica. Ma al di là dei dati statistici che, vista la delicatezza della tematica, non ha senso elencare nel dettaglio, il dato da tenere presente è proprio l’aumento dei suicidi nei pazienti oncologici.  Il commento di Carlo Alfredo Clerici, professore associato di Psicologia clinica presso il Dipartimento Oncologia e emato-oncologia dell’Università Statale di Milano:. «Che la malattia sia da sempre una causa di un rischio aumentato di suicidio – spiega Clerici – è noto da tempo. I dati ISTAT, che sono stati raccolti nel corso degli anni nel nostro paese, non lasciano dubbi a questo riguardo. Ovviamente poi il suicidio è un fenomeno molto complesso e la malattia, seppur costituisca una riconosciuta aggravante, non è chiaramente l’unica causa. Una diagnosi di tumore e la convivenza con il cancro possono  innescare infatti meccanismi psicologici diversi che vanno dalla depressione alla percezione di una profonda solitudine esistenziale, dalla sofferenza fisica alla fragilità psicologica che si innesca su un dolore del corpo, talvolta, mal gestito».

 

Il Giudice veniva adito per conseguire il riconoscimento della rendita ai superstiti in favore del coniuge superstite, previo accertamento dell’esistenza di un nesso causale tra la malattia neoplastica di origine lavorativa e suicidio.

La CTU disposta dal Magistrato , che si allega, ha accertato: La consapevolezza del fallimento della chemioterapia per la comparsa di nuove lesioni ossee e pertanto la consapevolezza della progressione della malattia con la progressiva perdita delle proprie autonomie ha giocato il ruolo determinante nella decisione del sig XXXXX di porre fine alla sua vita. Pertanto è evidente che la sua vita fatta di sedute quindicinali di chemioterapia aggressiva, di scarso controllo della componente dolorosa per la comparsa di nuove lesioni ossee, e della consapevolezza della progressione della malattia siano stati fattori determinanti nella scelta anticonservativa messa in atto il 13/05/2022. Evidente quindi il nesso causale tra il suicidio ed il carcinoma polmonare metastatizzato. Così come è noto il rapporto tra carcinoma polmonare ed esposizione all’amianto, entrambi riconosciuti dall’INAIL al sig XXXXCTU Suicidio quale malattia professionale

VITTIME DEL DOVERE

L’art. 1, comma 563, I. n. 266/2005, stabilisce che debbano considerarsi “vittime del dovere” «i soggetti di cui all’art. 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

  1. a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
  2. b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
  3. c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
  4. d) in operazioni di soccorso;
  5. e) in attività di tutela della pubblica incolumità;
  6. f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità».

Nell’interpretare tale disposizione, le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che essa, differentemente da quella di cui al successivo comma 564, non prevede la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando soltanto che l’evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (Cass. S.U. n. 10791 del 2017).

Quale infermità può determinare il riconoscimento della vittima del dovere?

Non significa, afferma la Corte di Cassazione, che qualunque infermità contratta «nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari» ovvero «in attività di tutela della pubblica incolumità» sia di per sé sola sufficiente a guadagnare a chi ne è portatore lo status di “vittima del dovere”: come correttamente rilevato dai giudici di merito, l’equiparazione con i soggetti di cui all’art. 3, I. n. 466/1980, in tanto può avere un significato logicamente e normativamente coerente in quanto la «vigilanza ad infrastrutture civili e militari» e le «attività di tutela della pubblica incolumità» costituiscano oggetto di funzioni istituzionali che ordinariamente comportino una speciale pericolosità e l’assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli in cui può incorrere la restante platea dei dipendenti pubblici.

Prescrizione

Il Tribunale di Roma (Sezione Lavoro), con sentenza del 07.05.2019, si è pronunciato con riferimento al termine di prescrizione per l’attribuzione dello status di “vittima del dovere”, status necessario ai fini dell’ottenimento dei benefici previsti dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266.

Il Giudice del Tribunale del Lavoro di Roma ha chiarito che il diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere non è soggetto a prescrizione. Con la sentenza che qui di seguito si riporta è stato affermato che “sia l’accertamento di uno status che l’accertamento del diritto al riconoscimento di benefici di natura assistenziale sono entrambi diritti indisponibili, e come tali irrinunciabili ed imprescrittibili ex art. 2934, II comma c.c.”.

Ciò che soggiace al termine di prescrizione decennale è il beneficio economico che nello status trova il suo presupposto, cui consegue la estinzione del diritto di credito correlato nel caso in cui tale inerzia si protragga per un lasso di tempo sufficiente per essere considerato quale manifestazione di disinteresse all’esercizio del diritto

Benefici

La vittima del dovere, oppure i suoi familiari in caso di decesso, ha diritto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi. Hanno inoltre diritto a:

una speciale elargizione vittime del dovere da € 200.000, oltre rivalutazione monetaria in ipotesi di inidoneità al servizio o di invalidità non inferiore all’80% (negli altri casi, € 2.000 per punto percentuale, oltre rivalutazione monetaria).

assegno vitalizio mensile di € 500,00, a condizione che abbiano una lesione invalidante pari al 25%.

Speciale assegno vitalizio vittime del dovere di € 1.033,00 mensili a condizione che abbiano una lesione invalidante pari al 25%.

Due annualità di pensione per gli aventi diritto alla reversibilità.

Esenzione Irpef sulle pensioni.

Assunzione per chiamata diretta con precedenza assoluta rispetto a ogni altra categoria (diritto esteso ai figli e/o al coniuge in caso di decesso o di invalidità che non consenta la prosecuzione dell’attività lavorativa).

Esenzione dal pagamento del ticket sanitario.

Accesso alle Borse di studio.

Assistenza psicologica.

In caso di decesso, le prestazioni maturate dalla vittima vengono erogate ai suoi eredi legittimi. Inoltre, i medesimi essendo anche superstiti, hanno diritto alla costituzione delle relative prestazioni previdenziali.

COSA FARE

Scrivere una mail (avv.gentile@libero.it) o collegarsi al sito www.avvocatofrancescogentile.com  precisando nell’oggetto “ricorso vittime del dovere”, allegando il provvedimento di diniego e un recapito telefonico sul quale sarete ricontattati dallo Studio legale Francesco Gentile.