Lo status di vittima del dovere è imprescrittibile, ai sensi dell’art. 2934 c.c., in relazione agli artt. 2 e 38 Cost. Infatti, Cassazione, Sezione Lavoro, 17440/2022, ha sancito l’imprescrittibilità del diritto allo status di vittima del dovere.

Da ultimo, l’ordinanza n.3868 del 2023 ha espressamente affermato:

la condizione di vittima del dovere, tipizzata dall’art. 1, commi 563 e 564, della 1. n. 266 del 2005, ha natura di status, cui consegue l’imprescrittibilità dell’azione volta al suo accertamento, ma non dei benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto, quali i ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge» (Cass. n. 17440 del 2022).

 

Nel contenzioso promosso dalle vittime del dovere per la declaratoria dello status di vittima del dovere e per conseguire le provvidenze economiche per legge previste, le Amministrazione interessate avanzano sempre l’eccezione di prescrizione del diritto azionato, rilevando che è spirato il termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2934 e 2935 c.c., con riferimento alla data di entrata in vigore L. n. 302/1990, della L. n. 388/2000 e della L. n. 266/2005, in quanto  la parte ricorrente non ha prodotto alcun valido atto interruttivo.

Il giudice della nomofilachia ha riconosciuto che l’azione volta all’accertamento del diritto al riconoscimento dello status della condizione di “vittima del dovere” deve essere considerato imprescrittibile: «non può essere dubbio che le provvidenze in esame rientrino nell’ambito della tutela di cui all’art. 38 Cost.: la disposizione costituzionale ult. cit., nel riferirsi all’idea di “sicurezza sociale” e nell’ipotizzare soltanto due modelli tipici della medesima, uno dei quali fondato unicamente sul principio di solidarietà (primo comma) e l’altro suscettibile di essere realizzato mediante strumenti mutualistico-assicurativi (secondo comma), “non esclude tuttavia, e tantomeno impedisce, che il legislatore ordinario delinei figure speciali nel pieno rispetto dei principi costituzionalmente accolti” (così, testualmente, Corte Cost. n. 31 del 1986).

E se è vero che la disciplina delle provvidenze dettate per le vittime del dovere può legittimamente considerarsi come una delle possibili “figure speciali di sicurezza sociale”, la cui ratio va individuata nell’apprestare peculiari ed ulteriori forme di assistenza per coloro che siano rimasti vittima dell’adempimento di un dovere svolto nell’interesse della collettività, che li abbia esposti ad uno speciale pericolo e all’assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli in cui può incorrere la restante platea dei dipendenti pubblici o degli incaricati di un pubblico servizio (così Cass. 29204 del 2021), non si possono non ravvisare nella situazione giuridica istituita dal legislatore tutti i presupposti dello status, nello specifico senso di cui dianzi sì è detto: valendo la categoria di “vittima del dovere” a differenziare una particolare categoria di soggetti al fine di apprestare loro un insieme di benefici previsti dalla legge e riepilogati dall’art. 4 d.P.R. n. 243/2006. L’imprescrittibilità della pretesa discende ex sé dalla riconosciuta natura di status della condizione di vittima del dovere e non già da una inesistente facoltà dell’amministrazione di attribuirla d’ufficio.

Tale principio, come detto, è stato confermato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità laddove ha precisato che «la questione concernente la possibilità di intendere la qualifica di vittima del dovere in termini di status è stata di recente affrontata da questa Corte, con la pronuncia n. 17440 del 2022, affermativa del principio per cui “la condizione di vittima del dovere, tipizzata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1 commi 563 e 564, ha natura di status, cui consegue l’imprescrittibilità dell’azione volta al suo accertamento, ma non dei benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto, quali i ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge.

Ordinanza n. 3868-2023

Un lavoratore aveva prestato attività lavorativa alle dipendenze della S.p.A. ENEL con contribuzione versata al Fondo Elettrici per 32 anni e, successivamente aveva svolto l’attività di bracciante agricolo con contribuzione versata al FPLD per anni 11 anni.

Sussistendo i requisiti anagrafici e contributivi, presentava all’INPS domanda di conseguimento di pensione di vecchiaia in cumulo, evidenziando la richiesta di pensione in cumulo era finalizzata a utilizzare periodi contributivi non coincidenti maturati in più gestioni al fine del conseguimento di un’unica pensione di vecchiaia.

A seguito della reiezione da parte dell’INPS, proponeva azione giudiziaria.

Nella fattispecie rilevava che l’articolo 1, co. 195 della legge 232/2016 (legge di bilancio per il 2017) aveva rivisto in senso estensivo a partire dal 1° gennaio 2017 il perimetro di applicazione del cumulo dei periodi assicurativi già introdotto dall’articolo, 1, comma 239 della legge 228/2012 dal 1° gennaio 2013.

Il cumulo è un meccanismo particolare, in aggiunta alla ricongiunzione e alla totalizzazione, per valorizzare la contribuzione mista, ovvero quella contribuzione accreditata in più casse della previdenza obbligatoria frutto di carriere lavorative discontinue. La norma citata consente al lavoratore la possibilità di cumulare i periodi assicurativi accreditati presso differenti gestioni, senza oneri a suo carico, per il riconoscimento di un’unica pensione da liquidarsi secondo le regole di calcolo previste da ciascun fondo e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento.

Dunque, a differenza della ricongiunzione, il cumulo non opera alcun trasferimento della contribuzione da una gestione previdenziale all’altra.

Pertanto, secondo la normativa richiamata, dal 1° gennaio 2017 il cumulo contributivo è esercitabile dai lavoratori iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, autonomi (commercianti, artigiani, coltivatori diretti e mezzadri) e dagli iscritti alle forme sostitutive ed esclusive della medesima (ex Inpdap, ex Enpals, Fondo Volo, Fondo ElettriciFondo Telefonici eccetera) .

Al pari della totalizzazione nazionale, il cumulo deve interessare tutti e per intero i periodi contributivi non coincidenti accreditati presso le diverse gestioni assicurative menzionate; inoltre è necessario che gli assicurati non risultino già titolari di un trattamento pensionistico diretto in una delle gestioni interessate dal cumulo stesso.

Dal 1° gennaio 2017, per effetto delle modifiche apportate dalla legge di bilancio 2017 il cumulo è ammesso anche qualora gli interessati abbiano perfezionato i requisiti per il diritto a un trattamento pensionistico autonomo in una delle casse coinvolte nel cumulo (cfr: Circolare Inps 60/2017).

L’importo della pensione è determinato dalla somma dei pro-quota, tante quante saranno le gestioni interessate: ciascuna determinerà il trattamento in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni. Ciò significa che, a differenza della totalizzazione, la pensione verrà liquidata con il sistema retributivo ove applicabile, fermo restando, in ogni caso, che, per i periodi successivi al 1° gennaio 2012, dovrà essere utilizzato solo il sistema contributivo.

Pertanto, diversamente da quanto operato dall’INPS, l’operazione di calcolo del trattamento pensionistico si atteggerà diversamente a seconda della prestazione richiesta. Nel caso del lavoratore in questione, siccome il cumulo era  finalizzato alla pensione di vecchiaia, l’operazione si configura a formazione progressiva, per cui, ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia in cumulo, si potranno utilizzare tutti i periodi assicurativi accreditati presso le gestioni coinvolte nel cumulo. Ai fini della misura, la liquidazione del trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento, avverrà solo al conseguimento dei rispettivi requisiti anagrafici e contributivi.

Con la sentenza che si allega, il Tribunale di Napoli Nord accoglieva il ricorso.SENTENZA CUMULO DEI PERIODI ASSICURATIVI

 

TRIBUNALE DI NAPOLI III SEZIONE LAVORO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Napoli in funzione di Giudice del lavoro dott. Paolo Coppola all’ udienza del  , ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa n.           R.G. tra

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

nato a Napoli    rapp.ti e difesi dall’avv. Francesco Gentile in virtù di procura

apposta in atti                                                                                     RICORRENTE

contro

Enel S.p.a., ed Enel Produzione S.p.a., in persona dei l.r.p.t., con sede in Roma, rapp.te e difese dagli avv.   giusta procura in atti   RESISTENTE  E

Tirreno Power S.p.a., in persona del l.r.p.t., con sede in Roma, rapp.ta e difesa dagli avv.  giusta procura in atti

RESISTENTE

Nonché

GENERALI ITALIA S.p.A. e UNIPOL SAI Assicurazioni S.p.A., in persona dei l.r.p.t., rapp.te e difese dall’avv.  giusta procura in atti  TERZO CHIAMATO E

Allianz S.p.a., in persona del l.r.p.t., con sede in Trieste, rapp.ta e difesa dall’avv.

giusta procura in atti                                                                           TERZO CHIAMATO

OGGETTO: danno biologico.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISONE

Con ricorso depositato il 4.2.14              conveniva in giudizio l’ Enel S.p.a. l’Enel Produzione S.p.a. e la Tirreno Power S.p.a. al fine di sentire pronunciare, previo accertamento del nesso eziologico tra le patologie di cui lo stesso era portatore e gli ambienti di lavoro nonché le mansioni cui lo stesso è stato addetto, sentenza di condanna nei confronti delle Società convenute, in solido ovvero ciascuna per quanto di proprio onere e/o responsabilità, al risarcimento del danno non patrimoniale (suddiviso in danno biologico, danno biologico da inabilità temporanea, danno morale e danno esistenziale), per complessivi €. 1.065.732,30 o nella diversa misura di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria, detratto l’indennizzo del danno biologico già corrisposto da INAIL, il tutto con vittoria spese distratte. Al fine esponeva di aver lavorato per l’Enel, poi Enel produzione, dal 6.7.64, poi all’ottobre 1999 per la Tirreno Power, già Interpower, fino al 31.12.99 (indicava in ricorso mansioni e centrali elettriche dove aveva lavorato) e descriveva luoghi e macchinari coibentati con amianto, nonché la attività in concreto svolta. Allegava che l’esposizione ad asbesto gli aveva causato una neoplasia epiteliale maligna con aspetti prevalenti squamosi di tipo primitivo, diagnosticato il 12.5.10 ed ossigenoterapia per più di 10 ore al giorno, dal giugno 2012 e cicli di chemio e radio terapia e di avere ottenuto il riconoscimento della malattia professionale con postumi quantificati nella misura dell’80%.

Le convenute Enel ed Enel Produzione S.p.a. si costituivano in giudizio con memoria depositata in data 4.4.14 con la quale eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva sulla scorta dell’art 10 dell’atto dell’1.10.99, di costituzione, con conferimento impianti alla Interpower (poi divenuta Tirreno Power), tra cui la centrale di Napoli Levante, dove era addetto l’istante, che prevedeva che restava a carico di Interpower il contenzioso dei dipendenti in servizio presso il ramo di azienda conferito o cessati dal servizio. Rilevavano la impossibilità a prendere posizione in ordine alle domande, posto che si era spogliata, in favore della Interpower (poi Tirreno Power), di tutta la documentazione, ed in ogni caso chiedevano il rigetto della domanda. In subordine istavano perché la Tirreno Power volesse manlevarle per le somme che fossero state condannate a pagare all’istante.

La Tirreno Power si costituiva in giudizio con memoria depositata in data 4.4.14, con la quale resisteva alle opposte pretese eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l’istante aveva lavorato alle dipendenze di Interpower, poi Tirreno Power, per i soli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro (ottobre/dicembre 1999) e che la predetta era si era fusa in Volt S.p.a. che solo successivamente aveva cambiato denominazione di Tirreno Power. Eccepiva altresì l’esonero di responsabilità ex art 13 DLgs 38/00 e 10 del Dpr 1124/65, con conseguente difetto di legittimazione, nonché la sussistenza di qualsivoglia responsabilità a proprio carico ed, in ogni caso, la necessaria decurtazione di quanto corrisposto dall’INAIL. Istava per la chiamata in causa della s.p.a. Assicurazioni Generali, nonché delle 6 coassicuratrici, con richiesta di manleva. Chiamate in causa le assicuratrici, si costituiva in giudizio la Allianz S.p.a. con memoria depositata in data 8.7.14, quale coassicuratrice (con quota dell’8%) unitamente a Società Generali Italia ed UnipolSAI con la quale eccepiva e deduceva di avere incorporato le società  R.A.S. ed U.S.A., contestando la legittimazione passiva della Tirreno Power, visto il limitato spazio temporale (1.10.99/31.12.99), l’esonero di responsabilità, operando la copertura INAIL, l’assenza di pericolo di contagio da polveri sottili.

Si costituivano in giudizio, con memoria depositata in data 26.6.14 Generali Italia S.p.a. (già INA Assitalia) e la Unipol Sai Assicurazioni S.p.a. (quale incorporante la Unipol Assicurazioni),  contestando la operatività della polizza in ragione della legittimazione della Tirreno Power, nonché titolarità e regolarità amministrativa della polizza attraverso il pagamento di un premio proporzionato al rischio garantito e riferito al periodo dell’evento dannoso nonché alla sua riferibilità alle previsioni garantite dalla polizza (Tirreno Power aveva prodotto una polizza riferita al periodo 31.12.99/30.6.00, la prescrizione della garanzia assicurativa ex art 2952 c.c., la necessità di limitare il rischio delle coassicuratrici pro quota (64% Generali e 23% Unipol Sai), la assenza di responsabilità a carico della assicurata, l’esonero di responsabilità stante la copertura INAIL e la assenza di correlazione tra patologia e condizioni di lavoro.

Deceduto l’istante, si costituivano in giudizio in data 21.12.16 gli epigrafati unici eredi. Escussi i testi ed espletate CTU, questo giudice alla udienza dell’8.5.18 pronunciava sentenza cui veniva data lettura in udienza.

*****

Preliminarmente un accordo interno tra Enel S.p.a. ed Interpower (poi Tirreno Power, quale atto inter alios, non ha alcun effetto verso i diritti che l’istante può vantare verso Enel ed Enel Produzione. Infatto un atto intr alios non può incidere lnella sfera giuridica del soggetto terzo rispetto ad esso con eccezione della ipotesi di contratto a favore di terzo che, evidentemente, non ricorre.

Peraltro l’art 10 dell’atto dell’1.10.99, di costituzione, con conferimento impianti, da parte di Enel S.p.a. alla Interpower (poi divenuta Tirreno Power), tra cui la centrale di Napoli Levante, dove era addetto l’istante, che prevedeva che restava a carico di Interpower il contenzioso dei dipendenti in servizio presso il ramo di azienda conferito o cessati dal servizio è contratto che non risulta subordinato alla cessione di quote della Interpower a soggetti terzi, essendo sconosciuto al giudicante il disposto normativo che vorrebbe tale subordinazione. Successivamente Interpower ha cambiato la (sola) denominazione in Tirreno Power.

Ne deriva che ciascuna delle due risponde in via diretta in relazione ai diversi periodi di lavoro e Tirreno Power deve manlevare Enel S.p.a. in relazione ai danni causati dal periodo di lavoro per la stessa, ai sensi del predetto art. 10.

Immediatamente deve essere rigettata la domanda verso Enel Produzione S.p.a., posto che l’istante mai ha lavorato per la stessa e che neppure è dedotto che vi sia un debito verso l’istante iscritto in bilancio.

L’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall’art. 10 del d.P.R. n.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall’assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell’ambiente di lavoro, viene in rilievo l’art. 2087 cod. civ., che, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore assicurato. Ne deriva che anche ove sussista dolo o colpa del datore di lavoro nella causazione di un danno alla integrità psico fisica (fatto di reato) non opera la copertura anti infortunistica integrale, ma solo nei limiti del danno già liquidato: viene in rilievo quindi il c.d. danno differenziale.

Per la verifica dell’ambiente e delle modalità di lavoro, nonché delle misure di prevenzione adottate, soccorre la prova testimoniale.

Il teste         , collega di lavoro dell’istante, che ha lavorato presso la centrale di cui è causa dal 1955 al marzo 2000 come capoturno, ha riferito che l’istante era operatore di giro, ovvero effettuava giri di ispezione del gruppo termoelettrico, su richiesta ispezionava apparecchiature e metteva in esercizio apparecchiature su richiesta dell’operatore di banco. Successivamente lo stesso era diventato operatore di banco,, ovvero verificava al banco il regolare andamento del porocesso di produzione della energia della unità cui era addetto. Il teste ha riferito che tuibazioni ed apparecchiature soggette a calore erano coibentate con amianto. Ha riferito che capitava che tuibi si rompessero e così acqua o vapore rompessero la copertura in amianto, aerodisperdendo fibre.  Per la verifica dei punti di perdita dell’impianto, l’istante doveva rimuovere l’amianto con mezzi di fortuna. L’istante verificava la regolarità degli interventi di manutenzione. Ha ricordato che in sala quadro vi era un aeratore+, di solito funzionante.

Il teste   , capo esercizio, poi vice capo centrale ed infine capo centrale, della

Centrale di cui è causa, ha riferito che l’amianto rivestiva principalmente tubi, turbine e generatore di vapore. Ha ricordato che la rottura di tubazioni era molto rara e che il coibento era rimosso da ditte specializzate, reincapsulandolo e che il ricorrente a detti interventi non era presente. Ha riferito che l’istante controllava da banco il regolare funzionamento delle apparecchiature e coordinava il personale che si recava a verificare esternamente i macchinari impiegati; prima che il teste andasse a lavorare presso la centrale di cui è causa l’istante aveva svolto mansioni di operatore di giro ed operatore di unità.

Il teste   collega di lavoro presso la centrale di cui è causa dal 1982/83 al 1993, ha riferito che l’istante era operatore di giro, ovvero controllava, sia in ambiente interno che esterno, de visu, il funzionamento di apparecchiature e macchinari e, se vi erano perdite, doveva rimuovere la copertura che, per tubazioni e valvoline, erano in amianto, al fine di accertare l’esatto punto di perdita. La rimozione avveniva con uso di una grossa chiave, utilizzata anche per rompere il coibento. Tale intervento era effettuato in media una due volte a settimana. Ha riferito che l’istante verificava e sostituiva bruciatori nelle caldaie, aprendo le porte di ispezione delle stesse, dove vi erano coibentazioni rotte, sfrangiare, sfaldate, come in varie parti della centrale. Ha ricordato che quando parte dell’impianto veniva riavviata, reimmesso il vapore ad alta temperatura e pressione, le tubazioni vibravano violentemente e dai punti di giunzione o dalla parte dei coibenti cadeva una polverina. Ha riferito che nel 1991/92 gli erano state fornite cuffie e mascherine con invito ad usarle.

Il teste       , dal 1987  responsabile della manutenzione delle centrali di Napoli, quindi responsabile di esecizio della ventrale di cui è causa dal 1998 e dal 2000 capo centrale, ha riferito che le mascherine per l’amianto erano state disponibili dal 1990 e dagli anni ’90 il medico aziendale aveva tenuto corsi agli operai su amianto e rischi, spiegando l’uso degli appositi DPI.

Ha riferito che la rimozione dell’amianto era finita nel 1992/93, che le tubazioni contenenti amianto erano state pitturate in rosso, che un censimento delle coibentazioni era stato effettuato nel 1988, che scoibentazione e coibentazione  veniva effettuata da ditte specializzate.

È provato in atti, dalla scheda relativa alla attività di rimozione coibenti a base di amianto (in atti istante) che l’amianto era in rimozione dal 1983, trovando i propri picchi dal 1992 al 1997 e proseguendo fino al 2004. Ne deriva che le dichiarazioni del teste Nittolo sono il frutto di un cattivissimo ricordo e lo stesso, pertanto, risulta inattendibile.

Dall’1.6.74 all’1.6.84, periodo in cui è stato operatore a giro presso la centrale di cui è causa, come da curriculum lavorativo (in atti ricorrente), l’istante è stato certamente esposto in maniera massiva e non protetta a fibre di amianto per come risulta dalla circostanza che cuffie e mascherine erano state fornite dal 1991/92 e che questo, quale operatore a giro, doveva controllare, sia in ambiente interno che esterno, de visu, il funzionamento di apparecchiature e macchinari ed, una/due volte a settimana, causa perdite rimuoveva la copertura che, per tubazioni e valvoline, era in amianto rompendo il coibento con una grossa chiave, e, dunque, aerodisperdendo ed inalando fibre. La presenza di polvere di amianto era così massiva che, quando parte dell’impianto veniva riavviata, reimmesso il vapore ad alta temperatura e pressione, le tubazioni vibravano violentemente e dai punti di giunzione o dalla parte dei coibenti cadeva una polverina.

La dipendenza della patologia da amianto è anche stata riconosciuta dall’INAIL con provvedimento del 20.11.13.

Di contro l’attività lavorativa del           nei locali della sala quadri nel periodo ottobre/dicembre 1999, quindi senza o con scarsissima esposizione ad amianto né ad altri possibili cancerogeni esclude la responsabilità diretta di Tirreno Power (cfr prima CTU depositata il

18.12.16, pag 9).

Quanto alla responsabilità colposa, il CTU ha evidenziato che Il 1964 dunque per l?amianto deve essere considerato un anno terribilis essendo ormai divenute note nella comunità scientifica le informazioni essenziali sugli ampi e gravi effetti dell?mianto (prima CTU pag 27). Da un punto di vista normativo le direttive comunitarie 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in tema di utilizzo di amianto, ne evidenziavano la pericolosità. Ne deriva dunque che la convenuta ENEL quantomeno doveva sapere detta pericolosità e che, dunque, risulta violata una regola di diligenza, prevista dall’art 2087 c.c., applicabile ratione temporis e dovuta da un imprenditore delle dimensioni della convenuta ENEL, in grado di conoscere ed applicare le regole scientifiche dell’epoca nella prevenzione delle patologie asbesto correlate, che rende configurabile il reato di lesioni personali colpose. Ne deriva la risarcibilità del danno differenziale e la inoperatività della regola di esonero da responsabilità.

Deve a questo punto rilevarsi come dalla L. 455/43 (art 4: Agli effetti della presente legge per asbestosi deve intendersi una fibrosi polmonare che, provocata da inalazione di polvere di amianto, si manifesta particolarmente con presenza negli alveoli, nei bronchioli e nel connettivo interstiziale di “corpuscoli dell’asbestosi” con tracheo-bronchite ed enfisema, ed all’esame radiologico con velatura del campo polmonare o con striature od intrecci reticolari più o meno intensi, maggiormente diffusi alle basi) è provata la conoscenza della pericolosità dell’amianto quale causa atta a determinare la patologia di cui è causa. Peraltro nella stessa tabella finale (Tabella delle lavorazioni per le quali è obbligatoria l’assicurazione – contro la silicosi e l’asbestosi e del periodo massimo d’indennizzabilità – della cessazione del lavoro, sostituita dall’art. 1 del D.P.R. 20 marzo 1956, n. 648)  si indicava  tra le attività soggette ad assicurazione obbligatoria lavori che comportano impiego ed applicazione di amianto e di materiali che lo contengono o che comunque espongono ad inalazione di polvere di amianto.

Ne deriva che la mancata adozione di tutte le misure cautelative adottabili all’epoca dei fatti avrebbe ridotto il rischio di inalazione della dose innescante. Peraltro solo dal 1991/92 sono state adottate mascherine apposite per la prevenzione del rischio asbesto correlato.

Ne deriva che il danno alla salute esitato è ascrivibile a responsabilità della convenuta.

Infatti l’eventuale efficienza causale di altri fattori cancerogeni, quali l’abitudine al fumo di sigarette, la quale tuttavia, di regola, non rileva, di per sé, al fine dell’interruzione del nesso causale (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18267 del 30/07/2013).

Infatti anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, principio secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 cod. pen., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni. Pertanto, in caso di accertata esposizione al rischio ambientale costituito dalle polveri, in soggetto dedito ad attività ispettiva con prelievi di polvere di amianto, di piombo ed altro, è legittimo il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, senza che rilevi in contrario la circostanza che la consulenza tecnica abbia evidenziato il tabagismo del dipendente quale concausa della patologia (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17959 del 09/09/2005). Ne deriva che il tabagismo dell’istante è al massimo concausale. Sul punto, peraltro, il secondo CTU ha evidenziato quanto segue:

Nel caso specifico, si evince che il sig.   fosse effettivamente un tabagista, ma vi sono pochi elementi per quantificare l’entità di tale abitudine voluttuaria. Gli unici richiami documentali in merito sono: a) il Libretto Individuale Sanitario e di Rischio ENEL, senza data di compilazione, ma certamente compilato non prima del 1993, ove è riportato il consumo di circa 15 sigarette al giorno per 20 anni; b) la cartella clinica osp. Monaldi del 2006, allorquando il         fu ricoverato per IMA, ove in anamnesi è riportato un consumo di circa 10 sigarette al giorno da circa 20 anni.

Altro dato, per una valutazione indiretta dell’abitudine voluttuaria al fumo del sig.   si basa sulla considerazione che egli non risulta sia stato affetto da bronchite cronica, che è la principale patologia secondaria al tabagismo. Infatti, in tal senso, non si riscontrano elementi clinici suggestivi nelle cartelle cliniche avute in visione; viceversa farebbero escludere la sua presenza l’esame spirometrico praticato presso l’osp. Cardarelli in data 22/3/16, refertato con “Deficit ventilatorio di tipo restrittivo”, laddove nei bronchitici cronici il reperto è di un deficit di tipo ostruttivo, ed anche l’anamnesi e l’esame obiettivo rilevati dal precedente CTU in occasione della visita peritale del 24/2/2016.

Infine va considerato che il sig.   che per quanto sopra si valuta che non abbia fumato in assoluto più di 100-120.000 sigarette, contrasse un tumore polmonare non a piccole cellule, in cui la correlazione con il fumo di sigaretta è meno significativa rispetto al microcitoma, che è un tumore a piccole cellule. Infine, non essendo nota, per carenza di dati dosimetrici, l’effettiva aero-dispersione di fibre di amianto nell’ambiente di lavoro del   in base al curriculum lavorativo ed all’estratto contributivo emerge una riconoscibile esposizione al rischio amianto per un lasso di tempo nettamente superiore ai 12-15 anni. 

In sintesi, pertanto, si ritiene di condividere le conclusioni del precedente CTU e si valuta altresì che nell’etiopatogenesi del suddetto tumore polmonare l’incidenza del fumo di sigaretta abbia potuto svolgere una sussidiaria azione concausale, valutando nell’ordine del 20% il grado della sua incidenza.

Dalla patologia tumorale di cui è causa (Adenocarcinoma primitivo squamoso polmonare con metastasi ossee, epatiche, linfonodali e polmonari) è derivato un danno biologico derivante da una serie di postumi permanenti per come evidenziati dal CTU, valutati da questi, in maniera assolutamente logica, nella misura dell’80%.

Il danno deve essere calcolato, tenuto conto della età dell’istante, nato il 28.10.42, e dunque, alla età in cui è stata diagnosticata la patologia (12.5.10) di anni 67  e delle tabelle del Tribunale di Milano del 2018, già aumentate sulla scorta degli indici ISTAT alla attualità e della loro omnicomprensività rispetto alle voci di danno morale, liquidabile trattandosi di fattispecie astratta di reato, ed esistenziale, applicabili in ragione della circostanza che hanno costituito base per la elaborazione normativa (cfr altresì Corte di cassazione, sentenza n.12408/2011), in €. 639.790,00, con importi già rivalutati all’1.1.18.  In esse sono compresi il danno patrimoniale ed il danno biologico nelle sue componenti anche di danno per sofferenza psicologica, tenuto conto che ogni danno biologico determina sofferenze psicologiche, salvo personalizzazioni, eventualmente conseguenti alle particolari sofferenza dovute alla circostanza che l’evento lesivo è stato determinato da fatto di reato. L’istante ha dedotto e provato, in ragione della patologia sofferta che porta inesorabilmente alla morte, nonché alla presenza di 2 figli e tre nipoti, in relazione ai quali vi è una particolare sofferenza psicologica, una particolare sofferenza psicologica, per cui vi è ragione per discostarsi da detta quantificazione, aumentandola nella misura del 20%, con un danno complessivo di €. 767748,00.

Dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 38/2000 (9.8.2000) l’Inail corrisponde, per malattia professionale o infortunio, un indennizzo in capitale o una rendita ex art.13 stesso decreto, che copre il danno biologico-lesione all’integrità psico-fisica. Deve ricordarsi come la tutela assicurativa indennitaria non mira all’integrale ristoro del danno subito dal lavoratore, ma assolve ad una funzione di natura previdenziale, costituita dalla esigenza di assicurare al lavoratore colpito dalle conseguente di un infortunio o di una malattia professionale una somma di denaro per far fronte alle esigenze di vita. In detto ambito è compreso anche il danno esistenziale. Quest’ultimo riguarda il  pregiudizio oggettivo, inteso quale modifica della qualità della vita, di scelte e abitudini di vita, di relazioni interpersonali (familiari e non) che deve sostanziarsi in una lesione specifica ed oggettiva della qualità della vita, distinguibile dall’ intrinseco ed inevitabile scadimento correlato alla lesione dell’integrità psico-fisica. La definizione di danno biologico a fini INAIL (danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona) è sovrapponibile a quella di cui all’art 138 del Codice delle assicurazioni (lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito). D’altro canto non sarebbe possibile la lesione alla integrità psico fisica senza conseguenze sul piano delle scelte e abitudini di vita e delle relazioni interpersonali, nonché senza sofferenze psicologiche connesse, per cui la valutazione non può che essere unitariamente intesa (Cass. SSUU, Sez.  U, Sentenza n.  26972 del 11/11/2008).

Il lavoratore può dunque ottenere dal datore di lavoro  il ristoro del danno differenziale quantitativo. L’istante che ha ottenuto la rendita ex art.13 d.lgs n. 38/2000 dall’Inail per €. 13.508,58 annui, per come risulta dal prospetto di calcolo INAIL del valore capitale della rendita, che ammonta ad €.  94.370,98 per danno patrimoniale ed €. 104.985,98 per danno biologico.

Dall’importo dovuto a titolo di danno biologico va prima detratto l’indennizzo INAIL capitalizzato, che riguarda il danno nel suo complesso, e poi detratta la quota di incidenza del lavoratore.

Ne deriva un danno differenziale di €. 662762,02.

Vi è efficacia concausale del fumo di sigarette ascrivibile al de cuius, come accertato dal CTU, nella misura del 20% perchè va considerato che il sig.   che per quanto sopra si valuta che non abbia fumato in assoluto più di 100-120.000 sigarette, contrasse un tumore polmonare non a piccole cellule, in cui la correlazione con il fumo di sigaretta è meno significativa rispetto al microcitoma, che è un tumore a piccole cellule (cfr seconda CTU pag 4). Dunque detto risarcimento deve essere ridotto ad €. 530209,62 e l’ENEL deve essere condannata al pagamento di detta somma con interessi legali sull’importo ricapitalizzato di anno in anno dall’1.1.18 al saldo.

Quanto alla invalidità temporanea, essa non è determinabile, essendo stato del tutto casuale (a seguito di sopraggiunto malore), secondo quanto riferito in sede anamnestica dal P., il rilievo dell’oncopatia polmonare, allorquando, peraltro, poteva già ritenersi terminato il periodo di malattia (cfr prima CTU pag 34).

Tirreno Power deve altresì essere condannata a manlevare Enel S.p.a. in relazione a detta condanna.

Quanto alle compagnie convenute deve darsi atto che del contratto di assicurazione in atti, stipulato con Enel S.p.a., deve ritenersi parte Tirreno Power trattandosi di contratto che prevede diritti ed obblighi relativi alla azienda (centrale Enel) ceduta da Enel a questa.

Dalla polizza in vigore dal 31.12.97, ore 24.00 e fino al 30.6.00, ore 24.00, depositata da Tirreno Power,  deve evidenziarsi che la stessa assicura per i danni causati da Enel ai propri prestatori di lavoro (cfr preambolo ante art 1, nonché art 19). Invero però non sussiste alcun criterio di collegamento tra polizza e malattia professionale, posto che la stessa, come detto, è stata cagionata da una condotta antecedente il periodo coperto da assicurazione e si è verificato in un momento ben successivo. Invero la polizza (art 19) riferendosi ai danni cagionati, fa riferimento ad una condotta efficiente verificatasi nel periodo di copertura assicurativa.

Ne deriva il rigetto della domanda nei confronti delle società terze chiamate.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo tra istante ed Enel S.p.a. e tra istante ed Enel Produzione S.p.a.; spese compensate tra istante e  Tirreno Power S.p.a. posta l’assunzione del debito di Enel S.p.a. da parte della stessa; parimenti seguono la soccombenza tra le società assicuratrici costituite e Tirreno Power e tra Tirreno Power ed Enel S.p.a.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede:

1)                rigetta il ricorso verso Enel Produzione S.p.a.;

2)                condanna ENEL S.p.a. al pagamento in favore dell’istante di €.530209,62 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria su detto importo dall’1.1.18 ad oggi, oltre ulteriori interessi sull’importo così calcolato da oggi al saldo effettivo;

3)                Condanna la convenuta Tirreno Power a manlevare Enel S.p.a. dell’importo di cui al capo

2);

4)                Rigetta la domanda verso le terze chiamate;

5)                Condanna Enel S.p.a. al pagamento delle spese di giudizio dell’istante (oltre che di quelle di CTU liquidate come da separato decreto)  che si liquidano in €. 23.420,00, oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA, con distrazione in favore del difensore costituito;

6)                Condanna l’istante al pagamento delle spese di giudizio di Enel Produzione S.p.a. che si liquidano in €. 14055,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA;

7)                Spese compensate tra istante e Tirreno Power;

8)                Condanna Tirreno Power al pagamento delle spese di giudizio di GENERALI ITALIA

S.p.A. e UNIPOL SAI Assicurazioni S.p.A. che si liquidano in €. 17808,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA;

9)                Condanna Tirreno Power al pagamento delle spese di giudizio di Allianz S.p.A. che si liquidano in €. 7270,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA;

10)            Condanna Tirreno Power al pagamento delle spese di giudizio di Enel S.p.A. che si liquidano in €. 23.420,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA. NAPOLI, lì 22.5.18.

IL GIUDICE

(Dott. Paolo Coppola)

Ordinanza Cassazione 212024 del 2024

Con l’ordinanza che si allega (nr.21204 del 30.7.2024), la Cassazione afferma che in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il dipendente illecitamente somministrato o utilizzato in un appalto illecito di manodopera deve considerarsi alle dipendenze del datore di lavoro effettivo, in quanto il rapporto assicurativo sociale si costituisce immediatamente in forza di legge col datore di lavoro effettivo.
Nella causa patrocinata dall’avv. Francesco Gentile, il lavoratore veniva investito da un muletto nel corso dell’attività svolta all’interno dell’azienda gestita dalla PCP.
Lo stesso era addetto alla macchina ribobinatrice, nonostante fosse stato formalmente assunto da altra azienda a cui la PCP aveva appaltato i lavori di pulizia.
In primo grado veniva accolta la domanda di risarcimento del danno differenziale con condanna della società committente e della compagnia di assicurazione.
A seguito di appello della compagnia assicuratrice, la Corte territoriale riteneva che l’infortunio occorso al lavoratore non poteva rientrare nell’ambito della copertura di polizza.
Ribaltando l’orientamento del Giudice di merito, la Corte di Cassazione ha sostenuto che il rapporto assicurativo sociale si costituisce immediatamente in forza di legge col datore di lavoro effettivo e che la copertura è assicurata dai contributi, a tal fine, versati dal datore interposto che liberano quello effettivo.

La sentenza, che si allega, che ha condannato la FINCANTIERI di Castellammare di Stabia a risarcire gli eredi di un operaio deceduto per mesotelioma pleurico (quasi un milione di euro), affronta diverse questioni di natura giuridica.

Innanzitutto viene rigettata la richiesta di inammissibilità del ricorso per una precedente conciliazione del dante causa dei ricorrenti per una patologia asbesto-correlata.

Difatti, la conciliazione invocata dalla FINCANTIERI  non poteva comprendere i danni non ancora manifestatisi e che non potevano essere previsti in mancanza di elementi obiettivi attuali, per cui, necessariamente, gli stessi potevano essere fatti valere successivamente.

Per danni futuri si intendono tutte le conseguenze patrimoniali e non che si produrranno nel tempo con riferimento ad un evento dannoso che si è già verificato. Infatti, qualora si manifestassero ulteriori danni dopo aver transatto la lite con la controparte, il danneggiato ha diritto ad ottenere il risarcimento per quest’ultimi soltanto se considerati non ragionevolmente prevedibili al momento della transazione, anche se questa abbia previsto l’estinzione del diritto al risarcimento anche dei danni futuri (sentenze della Cassazione numeri 7215 del 1997 e 5576 del 1984).

Si afferma, inoltre, la competenza funzionale del Giudice del lavoro per le domande di risarcimento di tutti i danni subiti dai familiari della vittima di malattia professionale, anche per quelli jure proprio, in un unico procedimento, sulla base dell’art.409 1° c.p.c.

La domanda di risarcimento dei danni, anche quelli jure proprio, ha quale unico antecedente il contratto di lavoro, l’utilizzo non cautelato dell’amianto, che ha provocato la lesione della salute nei confronti del lavoratore e altri pregiudizi che gli eredi hanno subito direttamente, e per i quali chiedono l’integrale risarcimento.

La giurisprudenza si rivolge verso la più ampia oggettivazione del criterio di competenza funzionale del Giudice del lavoro, anche con specifico riferimento al n.1 dell’art.409 c.p.c.: non occorre che le parti in causa siano quelle del contratto, è sufficiente che la domanda abbia come antecedente il rapporto di lavoro, senza che sia necessaria la sussistenza di un contratto di lavoro, né che il processo si svolga tra le stesse parti (Cass. Sent. 17092/2012).

Sulla scorta del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, la sentenza ha ritenuto, inoltre, che il danno terminale non è sovrapponibile alla tutela indennitaria dell’INAIL.

Trattasi di danni che non sono riconducibili alla copertura assicurativa e che possono definirsi, per comodità di sintesi, complementari: per essi non opera l’esonero del datore di lavoro di cui al primo comma dell’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965 e, quindi, gli stessi andranno risarciti secondo le comuni regole della responsabilità civile, anche in punto di presunzione di colpa ( Cass. 22021/2022).Sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 3.10.2024

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 18/11/2023, entrando in vigore il giorno successivo, la Nuova Tabella delle Malattie Professionali di cui al Decreto del Ministero del Lavoro di concerto col Ministero della Salute del 10/10/2023.

In particolare, per le patologie da sovraccarico biomeccanico è stata modificata la definizione della lavorazione nociva: il “non occasionale” diventa “abituale e sistematico” e per l’arto superiore è stato introdotto, oltre alla ripetitività del movimento, l’ “uso di forza”.

Difatti per il riconoscimento della natura professionale di patologie da sovraccarico biomeccanico occorreva che  “l’adibizioneallelavorazioni” fosse avvenuta inmanieranonoccasionalee/oinmanieraprolungata.

E per definire ulteriormente e in modo certo il campo per il riconoscimento dimalattia professionale, era intervenuta la Corte di Cassazione con l’indicazioneche“l’adibizione alla lavorazione può ritenersi non occasionale quandocostituisca una componente abituale e sistematica dell’attività professionaledell’assicurato e sia dunque intrinseca alle mansioni che lo stesso è tenuto aprestare”. Ed ancora è stato chiarito che la “lavorazione prolungata” è quellasvolta“inmododuraturo,perunperiododitemposufficientementeidoneoa causarelapatologia.”

Nella circolare INAIL n. 47/2008, che ha accompagnato tali tabelle, proprio inriferimento alle malattie muscolo-scheletriche si riporta “… sono state introdottelemalattiemuscoloscheletrichecausatedasollecitazionibiomeccaniche,aseguito di movimenti ripetuti e/o posture incongrue dell’arto superiore, del ginocchio e della colonna vertebrale; pertali patologie è previsto che la presunzione legale operi quando l’adibizione alle lavorazioni indicate avvenga in maniera non occasionale e/o prolungata.Al riguardo, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, l’adibizione alla lavorazione può ritenersi nono ccasionale quando costituisca una componente abituale e sistematica dell’attività professionale dell’assicurato e sia dunque intrinseca alle mansioni che lo stesso è tenuto a prestare. Accanto al requisito della non occasionalità, le previsioni tabellari richiedono che l’assicurato sia stato addetto alla lavorazione in maniera prolungata ossia in modo duraturo, per un periodo di tempo sufficientemente idoneo a causare la patologia”.

La modifica intervenuta con le nuove tabelle recepisce l’indicazione della Suprema Corte, con l’aggiunta dell’uso della forza.

L’obesità connessa ad un improprio regime dietetico assume la connotazione dell’infermità invalidante, ai fini del  riconoscimento della pensione, nel momento in cui la correzione richieda l’adozione di una terapia medica ed alimentare.
Per la Corte di Cassazione, ordinanza n. 4684/2022, “quanto detto assume maggiormente rilievo ove l’obesità venga in considerazioe unitamente ad altre patologie, come nel caso di specie, ove viene in rilievo un quadro clinico complessivo rilevante ai fini della condizione sanitaria di invalidità civile“.
Per giurisprudenza costente, “ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità, la obesità, in quanto malattia permanente, ancorché non irreversibile, se di grado rilevante e concomitante con altre malattie ed alterazioni funzionali, deve essere valutata in un contesto complessivo e globale di tutte le manifestazioni patologiche, per stabilirne l’incidenza sulla capacità di lavoro e di guadagno”.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 4684/2022