Il suicidio quale malattia professionale

A un lavoratore dell’Italsider con le mansioni di riparatore meccanico, in  data 25/5/2018, a seguito di TAC del Torace, veniva diagnosticato un “un diffuso ispessimento dell’interstizio peribroncovascolare con evidenza di bolla di enfisema. La TC del 25.6.2019 evidenziava “un ispessimento parenchimale di aspetto simil-nodulare. incremento della trama interstiziale.

Si sottoponeva in data 28/10/2019 ad un intervento chirurgico di resezione atipica Vas, successivamente, in data 15/3/2021 ad intervento in lobectomia superiore destra con diagnosi di adenocarcinoma polmonare infiltrante scarsamente differenziato (G3).

Il doloroso itinerario (che si provava documentalmente) gli provocava un malessere profondo caratterizzato da sensazioni di abbandono, disperazione, inappagamento dei bisogni primari, per cui lo stesso cominciava a prendere in considerazione l’idea di porre fine alla propria esistenza. Difatti, in data 13/5/2022, decedeva a seguito di caduta volontaria dal secondo piano della sua abitazione.

Nell’ultimo anno di conclamata malattia il lavoratore, oltre a dolori lancinanti durante la respirazione, presentava coaguli di sangue, difficoltà del linguaggio, difficoltà respiratorie, fiato corto, inappetenza , perdita di peso non voluta e raucedine. Praticava diversi cicli di Chemioterapia e Terapia per DOLORE CRONICO in ultimo solo terapia ANTALGICA.

L’avv. Gentile provava che il lavoratore trascorreva a letto più del 50% del suo tempo ed era completamente consapevole della sua situazione di malattia e della sua prognosi infausta: Consapevolezza di malattia completa. Coscienza della terminalità completa”.

Sulla scorta di tanto si sosteneva che le conseguenze dovute all’insorgenza della patologia nefasta, sicuramente di natura professionale e causata dalla violazione di norme di sicurezza della datrice di lavoro, la conoscenza della prognosi quoad vitam e quoad valetudinem che lasciavano inerte il soggetto sotto il profilo delle sofferenze e dell’immancabile ripercussione su ogni idea di sua proiezione futura, cui è votata l’esistenza di ogni individuo, avevano sicuramente contribuito, come movente ultimo, al compimento del gesto estremo posto in essere dal lavoratore.

Si sosteneva che, nel caso di specie, sussisteva un valido nesso causale, ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., tra la condotta del terzo e l’azione suicidaria.

Ed invero, secondo l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, il danno morale per perdita di una persona cara può spettare ai congiunti della vittima non solo quanto questa perda la vita direttamente in conseguenza dell’altrui atto illecito, ma anche quando perda la vita in conseguenza di atti autolesivi, a condizione che il suicidio trovi il proprio antecedente causale nel fatto illecito del terzo. Tale nesso, infatti, non necessariamente è escluso dalla volontarietà del suicidio. Quest’ultimo infatti non è un fatto idoneo ad interrompere il nesso di causalità tutte le volte che l’illecito ha determinato nel soggetto leso dei gravi processi di infermità psichica, concretizzati in psicosi depressive o altre forme di alterazione dell’umore e del sistema nervoso e di autocontrollo (Cass. sez. lav. 2037/2000; Cass. n.969/1996; Trib. Alessandria 9/10/1998).

Si riportava uno studio su rischio di suicidio e cancro (https://www. fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/spezzare-i-tabu-parliamo-del-dolore-dei-malati-di-tumore-e-di-suicidio) della Fondazione Umberto Veronesi ove si afferma :

 come emerso da una recente ricerca pubblicata online su Nature Medicine a fine marzo, nonostante i progressi nella cura del cancro degli ultimi decenni, i pazienti oncologici hanno un rischio più elevato di suicidio rispetto alla popolazione generale. Lo studio, condotto da Michael Heinrich e colleghi dell’Università di Ratisbona, ha messo insieme articoli rilevanti sull’argomento pubblicati su database scientifici come EMBASE, MEDLINE, PsycINFO, Web of Science, CINAHL e Google Scholar fino a febbraio 2021. È stata eseguita una revisione sistematica che includeva 62 studi e 46.952.813 pazienti. Per evitare la sovrapposizione del campione di pazienti, la meta-analisi è stata eseguita su 28 studi, che hanno coinvolto in totale 22.407.690 pazienti malati di tumore. Da ciò è emerso che la mortalità per suicidio era significativamente aumentata rispetto alla popolazione generale. Il rischio era fortemente correlato alla prognosi del cancro, allo stadio del tumore, al tempo trascorso dalla diagnosi e alla regione geografica. Ma al di là dei dati statistici che, vista la delicatezza della tematica, non ha senso elencare nel dettaglio, il dato da tenere presente è proprio l’aumento dei suicidi nei pazienti oncologici.  Il commento di Carlo Alfredo Clerici, professore associato di Psicologia clinica presso il Dipartimento Oncologia e emato-oncologia dell’Università Statale di Milano:. «Che la malattia sia da sempre una causa di un rischio aumentato di suicidio – spiega Clerici – è noto da tempo. I dati ISTAT, che sono stati raccolti nel corso degli anni nel nostro paese, non lasciano dubbi a questo riguardo. Ovviamente poi il suicidio è un fenomeno molto complesso e la malattia, seppur costituisca una riconosciuta aggravante, non è chiaramente l’unica causa. Una diagnosi di tumore e la convivenza con il cancro possono  innescare infatti meccanismi psicologici diversi che vanno dalla depressione alla percezione di una profonda solitudine esistenziale, dalla sofferenza fisica alla fragilità psicologica che si innesca su un dolore del corpo, talvolta, mal gestito».

 

Il Giudice veniva adito per conseguire il riconoscimento della rendita ai superstiti in favore del coniuge superstite, previo accertamento dell’esistenza di un nesso causale tra la malattia neoplastica di origine lavorativa e suicidio.

La CTU disposta dal Magistrato , che si allega, ha accertato: La consapevolezza del fallimento della chemioterapia per la comparsa di nuove lesioni ossee e pertanto la consapevolezza della progressione della malattia con la progressiva perdita delle proprie autonomie ha giocato il ruolo determinante nella decisione del sig XXXXX di porre fine alla sua vita. Pertanto è evidente che la sua vita fatta di sedute quindicinali di chemioterapia aggressiva, di scarso controllo della componente dolorosa per la comparsa di nuove lesioni ossee, e della consapevolezza della progressione della malattia siano stati fattori determinanti nella scelta anticonservativa messa in atto il 13/05/2022. Evidente quindi il nesso causale tra il suicidio ed il carcinoma polmonare metastatizzato. Così come è noto il rapporto tra carcinoma polmonare ed esposizione all’amianto, entrambi riconosciuti dall’INAIL al sig XXXXCTU Suicidio quale malattia professionale

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